lunedì 30 luglio 2012

L'Orfeo- Immagini di una lontananza







La musica, gettata nella Tenebra, è in grado di trovare, con il solo contatto emozionale, i punti di luce e vitalità. Ecco che si scontrano intenti diversi, sentimenti contrastanti, dinamiche dalla chimica differente e si fondono, dando vita ad una esausta ma pulsante aurora musicale. (Ludovica Germinario)

Dal ‘Lieto Fine’dell’Artaserse, alla luce ritrovata del Nur, alla tragica uccisione dell’amata ‘Zaira’, arriviamo all’ultima opera di questo 38° Festival della Valle d’Itria. Un’opera che si apre e si conclude parlando d’amore, un amore che cambia aspetto nell’evolversi della storia, un amore che provoca felicità, dolore, porta alla follia, spinge oltre l’immaginabile, che fa morire, resuscitare e morire ancora. La storia di Orfeo ed Euridice è ai più nota, ma in questa rappresentazione si tenta di darne una visione diversa, ci si concentra sull’esternazione delle emozioni, sugli effetti devastanti, sulle cause e sulle conseguenza del rischio di amare.
Le nozze tra i due amanti sono il felice annuncio con cui inizia l’intera opera, e cosa si può desiderare di più di avere un cuore innamorato e ricambiato? Ma subito si presenta invadente Aristeo, topos dell’uomo che prova un affetto unilaterale, infatuato di Euridice, mortale quasi ridicolo agli occhi altrui, soprattutto a quelli di un satiro, perfettamente calzante nel suo ruolo, e di una Venere, la cui vanità estremizzata la rende iraconda e crudele, strafottente in fondo. Ed entra in scena la ‘pazzia d’amor’ che, dopo un successivo rifiuto, nonostante l’aiuto della dea della bellezza, viene enfatizzata, fino a raggiungere e superare il limite umano, ricordandoci la follia di Orlando, ‘che per amor venne in furore e matto’, a cui Ariosto ha dedicato un intero poema.
Quindi la morte, Euridice morsa da un serpente, simbolo da sempre del peccato. E quale peccato maggiore di quello del troppo amore verso un solo uomo e di rifiuto verso un altro innamorato?
Ma è realmente Euridice a peccare? Senza Aristeo e i suoi aiutanti, i due giovani amanti avrebbero avuto il loro lieto fine da ‘Amor vincit omnia’, perché sono l’uno sufficiente e perfetto per l’altra. Ed è allora un comune peccato quello che rende questa storia una tragedia, un peccato di troppo amore. Aristeo mettendo se stesso in secondo piano e accettando la felicità di Euridice con una altro uomo, avrebbe salvato, strano a dirsi, la vita della sua amata che, al contrario, ha inconsapevolmente, o meglio, involontariamente, ucciso; Venere e il satiro senza l’amore smisurato per il loro ruolo e il loro egoismo ed egocetrismo, avrebbero salvato non solo la protagonista, ma anche Aristeo dalla follia. E questo rende chi da sempre ci è apparso cattivo, Plutone e Proserpina, degli eroini in questa vicenda, le uniche persone capaci davvero di sapere comprendere e equilibrare l’amore. 
Ma a peccare più di tutti è Orfeo. Il dolore che ha provato, troppo forte e inaspettato, la felicità di risentire Euridice viva, non lo trattengono, lo vincono e cede, guarda e tocca l’amata perdendola per sempre.
Ci sono emozioni che l’uomo non riesce a sopportare e sovrastare, emozioni che lo rendono schiavo, che fanno mettere da parte la ragione, e l’Orfeo ci mostra come siano spesso, o forse sempre, legate all’amore e a chi pecca di troppo amore. Un amore che cambia irrimediabilmente le persone, un amore che li rende vulnerabili, vicini e d’improvviso distanti. E dell’amore rimangono solo immagini, quelle di una lontananza.
E’, quindi, l’amore l’unico colpevole.




"Pietate oggi e Amoretrionfan ne l'inferno.Ecco il gentil cantore,che sua sposa conduce al ciel superno." 
[Spiriti Infernali // Atto quarto Scena prima]



Come vedreste con le lacrime agli occhi 

Io riesco a scorgere la line di un orizzonte umano, nuovo, e voi?


La fotografa che ha scattato questa foto era lucida durante l'atto. Ma è certa di aver avvertito una presenza non umana, ed io non trovo che abbia torto, che sia folle o malata di fantasia. Dovete sapere che i teatri sono come cimiteri indiani, trattengono frammenti di essenza umana, di qualunque mortale o non mortale che abbia lasciato fra le mura maestose, nei palchi silenziosi, fra le quinte macabre, sul palco addormentato o dietro i sipari polverosi e soffocanti dei sentimenti. Sospiri, sussulti, maledizioni, preghiere. Materiale emotivo di prima qualità, che si deposita anno dopo anno, secolo dopo secolo..ed entra nell'atmosfera. Non sapevate che i teatri hanno un'atmosfera diversa da quella terrestre? Ora lo sapete e potete anche spiegarvi per quale motivo manchi spesso il fiato, durante un'opera. Dalla decomposizione dei sentimenti e dei ricordi, mescolati con note abbandonate e ribelli, incastonato il tutto in flutti di luce smarriti dai fari e messo a reagire con il luccichio sfavillante degli occhi colmi di lacrime, sorgono questi fuochi fatui dai colori insoliti. Non abbiate paura, hanno vita propria.

Articolo a cura di Rosanna Carrieri
Fotografie a cura di Clarissa Ceci
Didascalie a cura di Ludovica Germinario




Responsabile Blog Ludovica Germinario

NÛR- Dettagli in dissolvenza



Trucco per  NÛR : la Giovane Ammalata interpretata dal soprano Graziana Palazzo ed Il Primario interpretato dal basso Emanuele Cordaro




Gli spartiti sono come degli steccati fatti di inchiostro che l'uomo ha inventato per frenare la prorompente natura della Musica. Che illuso! Un assaggio delle peripezie musicali che gli orchestrali di NÛR si troveranno a dover affrontare, la musica infatti creata da Marco Taralli, è decisamente incalzante e travolgente.  
Il tenore Matteo Falcier durante la sua prova di canto, seguito dal Maestro Vincenzo Rana. L'empatia che avvolge i cantanti ed i maestri accompagnatori è quasi tangibile : l'empatia tra chi è baciato dalla musica è ancor più profonda di quella tra comuni, perchè allerta i sensi e predispone l'animo in maniera straordinaria. Sensibilità egualmente acute si incastrano tra loro perfettamente.

Il ruolo di "fotografo" consiste in questo : catturare quegli attimi di vita che ti hanno toccato il cuore e rimbombano nella testa, immagini che non devi dimenticare perchè didascaliche. Un attributo poco adatto forse? Decisamente no, giacchè ogni immagine, gesto, situazione che riesca ad impressionare i nostri sensi ed a suggestionare la nostra anima possiede una carica straordinaria di esperienza. L'esperienza è il filo diretto che conduce alla crescita, alla comprensione, alla possibilità di sviluppare delle competenze che aiutino ad insegnare in seguito, ciò che si è vissuto. Ecco quindi questi oggetti custoditi, quasi tatuati, nel fodero di un violino. Il fodero è come un cuore, il violino è la musica, dunque nel nostro cuore fatto di carn ella vive, la musica, prima, superba maestra.

Adoro la sensazione che precede i brividi, è come se il sistema nervoso tutto si allarmasse, pronto a ricevere  una scossa di energia. Timoroso forse, di non poterla scaricare del tutto al di fuori del corpo, su di un foglio, in una pellicola, lungo le corde di uno strumento, semplicemente in gocce salate che decorano il viso. Il formicolio che attanaglia il corpo è letale, inibisce ogni senso e travalica le frontiere della razionalità, come un fiume in piena trasporta via qualsiasi pensiero inibitore. Scivolare lungo una ripida cascata di emozioni e sentire i propri pensieri così freschi e puri è come il primo giorno al mare dopo un inverno rigido e buio. I cantanti sono i primi ad essere osteggiati dal Brivido. Io, al loro posto, non riuscirei a controllarmi, perderei la concentrazione e farei franare la voce. Quante volte il sospiro mi si mozza a metà tra lo stomaco ed il cuore? Forse è questa la differenza tra me e loro : sono capaci di domare il Brivido, demone tentatore, perchè ..ne sono i creatori.

Del teatro, ho sempre amato la possibilità di uscire da sé. Ed ho sempre invidiato attori e cantati per quella  complicità che hanno con se stessi, raggiunta grazie alla capacità di allontanarsi dal proprio ego, facendovi sempre ritorno e portando con sé amori nuovi. Spesso infatti ci si innamora dei personaggi che si impersonano senza dimenticarli mai. Come un amore estivo, uno sguardo catturato per strada, un profumo che travolge. Siamo stati creati per innamorarci almeno una volta nella vita e per  portare l'ego alla luce di una mattina fresca al parco, in compagnia di due occhi nuovi. Un dovere verso noi stessi, una libertà da concederci. Lasciarci per poi ritrovarci non è mai mancanza d'amore per se o, ancor peggio, tradimento : è un coitus ciclico che ci tiene in vita e che va esaudito. Quanto più affollato sarà l'androne dell'anima, tanto meno ci sentiremo vicini alla fine . Avremo infinite anime e cadremo sempre in piedi, poggiando su gambe nuove.

Prova costume!Il baritono Paolo Coni interpreta Celestino V ed il Frate.


Prova Costume! Il soprano Margherita Rotondi nell'opera NÛR interpreta Una Dottoressa.


Didascalie a cura di Ludovica Germinario
Fotografie a cura di Maria Teresa Colucci, Lorenzo Vinci, Roberta Ceppaglia e Silvia Risola


Responsabile Blog Ludovica Germinario


domenica 29 luglio 2012

NÛR- La ricerca della luce come viaggio verso il perdono


La cecità di Luce è l'epifania di un'estati incomprensibile ma terribilmente toccante. La donna infatti pare sia estremamente vicina ad un'entità divina che la guida verso il perdono ed il riscatto, affidandola alle manifestazioni di due personaggi che prima di lei affrontarono dei demoni interiori e vinsero la loro battaglia ,a dispetto dell'epilogo effettivo che il destino gli riservò. Questo personaggio tanto emblematico emana un'aura nuova perché compatibile con l'emotività moderna, giacché la sua tragedia si snoda tra un passato violentato dal pregiudizio e privato dell'amore ed un presente deturpato dalla furia della Natura. Durante l'opera NÛR , nei momenti più densi di musica e drammaticità è stato quasi possibile scorgere attorno a Luce quei demoni e quei fantasmi che l'hanno condotta, tra rovi di dolore e sofferenza, verso la vittoria più luminosa.  (Ludovica Germimanrio)

"Padre, ho paura dell'alba e della luce che porterà". L'ultimo dei Templari, uomo di fede e di potere, l'incarnazione del vigore e della passione, prova un sentimento come la Paura. Ed è l'emblema di quanto spesso il coraggio e l'ostinazione, la fede non solo in Dio ma soprattutto nelle proprie idee , non paghino. Nel medioevo le sconfitte umane di personaggi tanto fedeli a sé erano esemplificate con il fuoco, che ne dilaniava la carne senza però soffocarne le idee, ed è proprio il rogo la condanna di Jacques De Molay. La lezione della vita però non esita ad alleviare la disperazione per le ingiustizie storiche ed eterne che attanaglia lo spettatore : spesso infatti una sconfitta è il principio di una vittoria imperitura, quella di ideali solidi e valori nobili, non conseguibile probabilmente in vita, ma per sempre fonte di speranza, determinazione e riscatto. (Ludovica Germinario)
L'opera lirica ha da giocare una carta preziosa, un asso che non lascia scampo : l'emozione. I cantanti sono come sacerdoti delle Muse, intermediari tra la Musica e gli uomini e tra questi e la loro stessa anima, alchimisti straordinari, domatori dei sentimenti e padroni delle emozioni. Il Teatro Verdi di Martina Franca, dove si è svolta la recita di NÛR, ha tradito tante, troppe emozioni. Musica e sospiri si sono fusi fino a creare un'atmosfera mistica densa di umanità. Uniti nel cordoglio per un dramma non antico, come sono quelli solitamente portati in scena, ma moderno ed attualissimo, un dolore che ci riguarda personalmente e che giorno dopo giorno si rinnoverà, fino a quando la città dell'Aquila e tutti i luoghi in cui la Natura ha scatenato la sua furia, non torneranno a fiorire e a  pulsare di vita nuova. (Ludovica Germinario)
Il dolore sembra viaggiare parallelamente in ogni uomo, che siano o meno le circostanze ad accomunarlo al suo simile. Ecco dunque che, mentre Luce è dilaniata dal tormento interiore ed il suo sonno è terreno fecondo per i demoni che ne divorano l'anima spingendola piano verso l'epilogo, i feriti dell'ospedale da campo dell'Aquila lasciano quel luogo, che per pochi giorni è stata l'unica certezza, una casa che non avrebbero potuto perdere, un viso che sebbene sporco di fuliggine, sarebbe stato un dolce farmaco per il cuore. Un velo leggero suggerisce allo spettatore che le scene sfocate in secondo piano altro non sono che una trasposizione del cammino e della battaglia di Luce. E forse, di ogni altro uomo.(Ludovica Germinario)
NÛR, ovvero "Luce".
Il Festival della Valle D'itria s'illumina d'immenso, squarciato da una luce nuova, quella del perdono unita a quella della speranza. Cosa nasce da questa feconda condizione spirituale?
Un'opera straordinariamente travolgente, una vicenda umana drammatica ma affatto schiava della rassegnazione, un'occasione di riscatto.
La conoscenza perseguita tramite la sofferenza, dei terremotati improvvisamente spaesati e smarriti nella loro tragedia, incapaci di cercare una risposta a domande incalzanti, di una donna smarrita in se stessa, di due uomini sconfitti dal loro animo audace, dal coraggio, dalla Fede.
È quest'opera, la prima commissionata dal Festival della Valle D'Itria, una parabola assoluta della condizione umana, perennemente osteggiata dall'intima natura dello stesso uomo diviso tra bene e male, potere e schiavitù, imposizione e vocazione, ombra e ...Luce.(Ludovica Germinario)

Questo velo, che divide la scena in un primo e in un secondo piano, ha tanto di umano . Potrebbe essere paragonato alle palpebre degli occhi, che chiudendosi, lasciano la realtà all'esterno conservandone un ricordo che piano piano svanisce come segni incisi sulla sabbia. Dietro le palpebre, la vista è più acuta perché scorge i moti dell'animo e proietta la seconda vita di un uomo, quella partorita dall'immaginazione.(Ludovica Germinario)
L'intera opera si svolge all'indomani del terremoto che ha messo a tappeto la città dell'Aquila il 6 Aprile 2009, in un ospedale da campo allestito, per accogliere i feriti, sul prato antistante la Basilica di Santa Maria di Collemaggio a L'Aquila.


Un letto in primo piano, pronto ad accogliere la protagonista, una donna ritrovata tra le macerie della propria casa, senza nome, terrorizzata e delirante,bendata in quanto affetta da momentanea cecità, alla continua ricerca della luce e perciò da tutti battezzata "Luce", ed un tessuto velato che lo divide dal resto della scena oltre il quale mura rovinate sono l'emblema della tagica distruzione che ha causato il terremoto.
La velatura rappresenta probabilmente la cecità della donna e il senso di disorientamento/turbamento e solitudine che ciò le causa. (Rosanna Carrieri)








Protagonista dell'opera è il "fantasma" di Celestino V, il Papa che "per viltade fede il gran   rifiuto" come afferma Dante. Ma si può parlare di viltà? Egli, nella bolla che emanò per la rinuncia, affermò che "per umiltà e debolezza [...] del corpo e la malignità della plebe [di questa plebe], al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, con la tranquillità perduta, abbandonò "liberamente e spontaneamente" il Pontificato e rinunciò "espressamente al trono , alla dignità, all'onere e all'onore che esso comporta".
Fu forse la paura di non essere abbastanza che lo spinse a questo gesto unico nella storia. Nelle visioni di Luce, frequenti nella vicenda, è pentito di ciò che ha fatto e incapace di perdonarsi. La stessa incapacità che lo accomuna alla donna, che non sa perdonarsi la sua maternità mai vissuta per colpa della giovinezza e della volontà del padre.
Ma Celestino V , personalità ovviamente associabile alla città dell'Aquila, e soprattutto alla Basilica di Collemaggio, dove fu incoronato e sepolto, non è l'unica visione di forte rilevanza storica che ha Luce. Accanto a lui , Jacques De Molay, ultimo Gran Mestro dei Templari che, a causa di una serie di eventi, venne bruciato vivo nei pressi di Notre Dame de Paris e ricordato per la maledizione che in punto di morte mandò a Filippo il Bello e Clemente V , che persero la vita entrambi lo stesso anno.
Le visioni e la realtà si intrecciano fino a confondersi, fino a ritrovarsi, nelle ultime scene, quasi fuse.





La donna si ritrova col giovane medico Samih, il cui nome significa "colui che da il perdono", davanti alla Porta Santa della Basilica di  Santa Maria di Collemaggio, voluta dal Papa " del gran rifiuto", come "Porta della Perdonanza", chiunque, realmente pentito, passasse di lì in un dato giorno, otteneva il perdono di tutti i peccati.
Una madre mai stata madre ed un figlio che non ha mai potuto vivere pienamente questo stato in quanto non ha mai conosciuto la madre, attraversano insieme questa porta, si perdonano l'un l'latra  ritrovando la "luce" persa, non con la cecità che l'ha affetta una sola notte, ma molto tempo prima, con la condanna di se stessa.
Grazie ad altri si riesce ad accettare il proprio errore, ma un perdono che avviene solo grazie alla totale accettazione di se stessi.
Un'opera che, insomma, mette insieme l'introspezione e l'esternazione, il passato ed il presente, la verità e la menzogna, la realtà e le visioni, i contrasti che caratterizzano il mondo e ci mostra il modo per accettarli e perdonarsi. Un significato ancora una volta catartico della rappresentazione, come fossimo tornati indietro nel tempo, nel teatro greco.(Rosanna Carrieri)



La Musica può tutto. È una vigorosa energia vitale che si trasmette di anima in anima e regna sovrana in un teatro, durante un'opera lirica tanto travolgente. Il direttore d'orchestra di NÛR, Jordi Bernàcer, sembrava ebbro di quella dolce energia capace di innalzare l'animo fino alle stelle. Fino alla luce, la più accecante. (Ludovica Germinario)

È proprio la cecità che permette a Luce l'introspezione e l'accetazione. La vita spesso ci mostra luci apparenti, false, serenità illusorie. (Rosanna Carrieri)

Il perdono è la meta acerba di un viaggio estenuante, fatto di continue tappe che sembrano essere l'arrivo, ma come miraggi, si dimostrano pezzi di puzzle  che non è ancora finito. Il viaggio che conduce alla luce è il primo di tanti calvari umani cui l'uomo è sottoposto per conseguire il pieno possesso di sè. E se una volta colto il senso di un atto tanto difficile da compire come quello del PERDONARE, non c'è da meravigliarsi nel notare quanto il suo sapore sia acerbo : è stato il difficile cammino che ha reso maturo l'animo.(Ludovica Germinario)



Articolo a cura di Ludovica Germinario e Rosanna Carrieri
Fotografie a cura di Ludovica Germinario e Roberta Ceppaglia





Responsabile Blog Ludovica Germinario 




mercoledì 25 luglio 2012

Zaira- Sensazioni, emozioni, pulsioni di un viaggio interiore




E alla fine abbiamo tutti bisogno di un salvatore, di qualcuno che ci prenda tra le proprie braccia e ci dica 'va tutto bene', qualcuno che sia pronto a stringerci in casi di emergenza e non. Un salvatore di vita. Non tutti lo trovano e molti fanno di tutto per non trovarlo, per avere ancora quel senso di pericolo che scuote le anime, per provare ancora il brio di essere solo contro tutto\i. E poi sarà strano, ma ci accorgeremo di quanto ne avremo bisogno, anche solo per un attimo, un attimo fatele, avremo bisogno di qualcuno che ci protegga e ci dica 'Sono qui'. (Dorella Basta)

L'impeto letale che abita l'uomo è da temere ma non rispettare. Giacchè sopraggiunge senza  farsi annunciare e si impone come un despota affamato di potere e di sangue. Creature arrendevoli, ci scopriamo.Non è mai una salvezza reprimere un tale impeto, un coitus che ha come sola origine la voglia di vivere. Non esiste la Libertà, l'Onestà, la Pietà, nel regno in cui domina la Vita più pura.(Ludovica Germinario)




Due donne perdute nell'amore ma costantemente richiamate dal loro dovere sono le nostre protagoniste. Due uomini perduti nel dovere e costantemente richiamati all'amore le accompagnano. Ecco la Zaira del XXXVIII Festival della Valle d'Itria che andrà in scena il 29 luglio.
 "Stesso punto per favore maestro". É la frase che forse più si sente durante le prove di Zaira. Ricominciare dallo stesso punto è una continua ricerca dell'intenzione giusta, del gesto perfetto. Perché un personaggio viene definito dai gesti che fa. Una carezza incerta, uno sguardo duro o di trionfo associati alle note che sgorgano dalla bocca fanno il personaggio dell'opera. Allora quella frase viene ripetuta tante volte, in musica come nel gesto, per vedere se le due cose si sposano perfettamente, per vedere se il gesto definisce la musica e se la musica viene definita dal gesto, per vedere se il cantante ha capito quale intenzione deve mettere nel gesto e nella musica. Solo per questo si ricomincia sempre dallo stesso punto e ancora e ancora finché gesto, musica e intenzione sono la stessa cosa e definiscono il personaggio che lo deve fare. Difficile non imparare subito tutti i recitativi, le cabalette e le arie. Difficile non ricordare in quale punto preciso il cantante deve scendere e un altro salire. Forse è la magia che si crea su un palcoscenico, che per quanto possa anche essere improvvisato, continua ad avere la sua aurea potente, intoccabile. Ecco che chiunque sale sopra magicamente acquista una diversa aura. Ogni momento ogni espressione, ogni gesto diventano una cosa sola con la musica e si crea un incanto.  






Quella strana voglia di ribellarsi all'uomo che impone qualcosa, la strana voglia di andare contro tutto e alzarsi. La voglia di essere forti. Cercando di esserlo.Non riuscendoci.Alla fine vincerà quello che è più forte, che ha più pretese. E tutto ciò che di bello c'era si rovinerà.Ma lottare servirà a qualcosa (?) (Dorella Basta)





E' tutto così strano, il mondo sembra incantarsi sul sesso, su quella voglia assoluta di assaporare la carne dell'altro. Non sembra esserci altro per l'uomo che il sesso, la voglia assoluta di amare senza freni, fin troppo. Spingendo l'altro a farsi amare. Ma a questo punto, dopo aver legato al proprio corpo l'altro contro voglia, si può ancora chiamare amore ?(Dorella Basta)
Pausa. Generalmente sembra il mercato della frutta. Si perché si mangia qualcosa e ognuno porta un tipo di frutta diverso ogni giorno. Percoche, melone, anguria, pesche, albicocche, qualunque cosa riesca a mantenersi fresca sotto il sole delle 5 di pomeriggio automaticamente viene mangiata in prova. Insieme alla mini pistola ad acqua dei ragazzi (piacevole a dire il vero) e alle risate dei cantanti. Le pause alle prove della Zaira sono così:  sigarette e giochi di carte, Lupus in tabula mentre Rosetta Cucchi suona il piano, partitelle a pallone dove i 2 metri di altezza di Valeri Turmanov sono l'unica cosa che vedi o semplicemente su di una sedia, chiudendo gli occhi e sgombrando la mente.















Del resto, quando vivi i tuoi giorni tra spartiti ed arie, all'interno di una scenografia che non ti appartiene ma a cui tu finisci con l'appartenere, districandoti tra le doppie personalità dei cantanti che prima ancora di essere  i protagonisti dell'opera sono i protagonisti ognuno di una propria storia, è inevitabile che la vita di una comune adolescente si intrecci con la musica ed i giorni assumano la consistenza di note sospese tra le linee di un pentagramma finito, la cui chiave di lettura è il Tempo.(Ludovica Germinario) 









Dare forma ad un'idea, ad una ispirazione non è facile. Devi sapere con precisione cosa vuoi da tutti i cantanti e i figuranti. Devi saper cambiare al volo le situazioni per adattarle ai cambiamenti imprevedibili. Devi saper tirare fuori da tutti il meglio e impiegarlo sulla scena per vedere quell'idea prender forma. Allora devi ripetere e ripetere le scene, per farle memorizzare a chi le fa e per vederle in ogni minimo particolare. Perchè sono i particolari che raccontano una storia e la rendono diversa da tutte le altre. Far prendere forma alla propria idea è come scrivere un libro. Hai le idee chiare e sai come deve andare a finire. Ma il viaggio che ti porta a scriverlo è tutta un'altra storia. La storia di Zaira parte da lei e si sviluppa in tutti coloro che dietro ci lavorano. Non è solo una ripetizione meccanica di movimenti ma è raccontare quello che più ha colpito, farlo proprio e trasmetterlo agli altri. Una incessante collaborazione con la musica. Lei che alla fine decide quali sono le situazione e i sentimenti che devono essere provati. Lei che decide su quale nota e su quale battuta entra qualcuno e diventa personaggio. Lei amministra l'opera e inconsapevolmente, tutti coloro che di lei vogliono parlare.  





Zaira è un'opera in grado di trasmettere emozioni velenose.Cosa c'è di più doloroso di una lotta contro se stessi? La paura di smarrirsi, di ferire il nemico e ritrovarsi con un pugnale conficcato nel costato. Come Cristo sulla croce, ogni giorno e per l'eternità lottare contro l'unica fonte di vita conosciuta, la propria ombra, la propria immagine riflessa nello specchio, urlare alla voce dell'anima di tacere.Una maledizione che non porta redenzione, mai, perchè ognuno salirà il proprio calvario e dovrà assaporare l'amara polvere del Golgota.Si spegneranno le luci, l'atrio del Palazzo Ducale sarà deserto ed il vento unico spettro ad aggirarsi fra alte scalinate. Nessuna catarsi potrà decretare il vincitore, porteremo sempre con noi il nostro peggior nemico, che altri non è che la sola fonte di salvezza.(Ludovica Germinario)

Fine prova. Ognuno sfinito torna a casa. Consapevole che una parte del lavoro è stato fatta e tanta altra ancora ce ne da fare, arricchito di una nuova parte del proprio personaggio e forse già carico per il lavoro del giorno dopo. 
Non saprei come raccontare diversamente le prove di Zaira. Perchè si, raccontarvi particolari dei cantanti durante le prove o dei giochi d'acqua dei figuranti forse sarebbe più divertente ma non racconterebbe Zaira, quella che io sto vivendo giorno per giorno. Quella che vedo crescere e diventare un'opera. Questa è la mia Zaira e questa è quella che vedrò sulla scena il 29 luglio nel Palazzo Ducale. Emozioni in musica, tramutate in gesti e personificate da due eroine. Che siano eroine dell'amore o del dovere, lo lascio decidere a voi. 



La musica è un lieto esercizio per raffinare i sensi. Il cuore ne assorbe ogni fragranza e  muta in consistenza, la sensibilità si inchina alla interiorità ed ogni dettaglio improvvisamente appare luminoso. Insegnare ai sensi ad amare ciò che ne travalica le competenze. (Ludovica Germinario)


Articolo a cura di Federica di Bari, Assistente alla Regia 
Fotografie a cura di Dorella Basta, Roberta Ceppaglia, Rosanna Carrieri e Vincenzo Mola
Didascalie a cura di Dorella Basta e Ludovica Germinario





Responsabile Blog Ludovica Germinario